La fine dell’Ottava
(da Questa città n. 13, marzo 2013)
Romagna 1944, marzo: l’incontro storico e fatale fra i generali inglesi e il comandante Libero; il precoce disarmo dell’Ottava Brigata Garibaldi Romagna e il suo rapido scioglimento ordinato dagli alleati, a Meldola dove…
Ennio Bonali, forlivese, e Oscar Bandini, di S. Sofia, sono impegnati nella ricostruzione storica della partecipazione delle popolazioni romagnole dell’alto Bidente al soccorso dei prigionieri di guerra alleati in fuga dai campi di prigionia, dopo l’8 settembre 1943. Sono autori di numerose pubblicazioni di carattere storico e coautori, fra gli altri, del libro “La Romagna e i Generali Inglesi”, edito da Franco Angeli nel 1982.
Galeotti. Il generale di brigata James Combe tornò in Romagna, dopo la avventurosa fuga dal campo di prigionia, al comando di una brigata corazzata alleata. Però Combe non era uno qualsiasi…
Bonali. Combe era arrivato a Seghettina con i tre generalissimi ma, invece di seguirli nel loro tentativo di fuga verso le linee alleate, si aggrega, insieme al generale di brigata Todhunter ai partigiani del Gruppo Brigate Romagna, comandato da Riccardo Fedel, il comandante Libero. Siamo ai primi giorni del gennaio ’44 e la formazione partigiana è in rapida crescita numerica. Libero è un ex sottufficiale veneto di idee comuniste, un comunista libertario. Insieme ai due generali elabora le strategie di azione delle formazioni partigiane, riprendendo le linee di indirizzo che aveva già gettato, prima di loro, lo stesso generalissimo Neame, prima di andarsene. La strategia concordata, in sintesi, prevedeva la costruzione di una “zona franca” in cui accogliere e proteggere i giovani che fuggivano dall’esercito o rifiutavano la leva militare fascista; prevedeva il loro armamento ad opera degli alleati e la loro organizzazione militare per diventare un bastione di contrasto ai tedeschi in fuga dopo lo sfondamento della Linea Gotica da parte degli alleati. È una linea strategica che coincide esattamente con quella che Giusto Tolloy, militare di carriera, ispira all’Uli, l’organizzazione antifascista democratica romagnola, nel tardo autunno del 1943: costruire una zona di protezione temporanea in montagna per armarla e metterla in azione al momento opportuno. Questo piano, prima elaborato dall’Uli e dal Fronte Nazionale e poi concordato con i due generali alleati, fa cadere una serie di accuse che sono state indirizzate contro Libero, che viene fra l’altro tacciato di megalomania perché, affermano i suoi detrattori, “favoleggiava” di questa strategia. In realtà ne scrivono nel loro rapporto segreto questi due generali, Combe e Todhunter, quando rientrano nelle linee alleate. Il primo di giugno ‘44 inviano infatti, al Foreign Office ed al quartier generale alleato, il racconto della loro permanenza in brigata nei precedenti mesi di gennaio, febbraio e nella prima settimana di marzo. Da qualche tempo quel documento è desegretato ed è stato pubblicato. Le scelte di Libero, la sua idea di lotta partigiana era stata concordata con gli alleati.
Galeotti. Quindi Combe e Todhunter si fermano per oltre due mesi in montagna e avviano un contatto permanente sul posto con le formazioni partigiane… Bonali. Addirittura entrano in brigata ed assumono nomi di battaglia partigiani: Combe si fa chiamare Giovanni e Todhunter, Giuseppe…
Bandini. Nelle schede della Asc sono citati anche con questi nomi. Bonali. Neame scrive nel proprio diario che essi si offrirono volontari per supportare le formazioni partigiane in via di costituzione. Si offrirono volontari, ma sotto la supervisione e l’approvazione dei generalissimi, e svolgeranno questo ruolo di consulenza militare e di rappresentanza delle forze alleate. Rientrato nei ranghi, Combe viene reintegrato nel comando e gli viene affidata la seconda brigata dell’ottava armata, una brigata corazzata, a capo della quale sfonda la linea Gotica nella montagna romagnola alla fine dell’estate ‘44. Appena entrato in contatto con le formazioni partigiane, chiede subito di Libero, il comandante con cui aveva collaborato per mesi, e così apprende che è stato fucilato perché definito “una spia fascista”. A quel punto, Combe non permette che l’VIII Brigata Garibaldi partecipi alla liberazione di Forlì; a Meldola la ferma, la disarma e la scioglie. Forlì è l’unica città della Romagna dove i partigiani non entrano armati da liberatori. Sono entrati dovunque, anche a Ravenna, ma a Forlì no. Viene solo concesso di sfilare ad una pattuglia con le armi scariche.
Galeotti. Questa interpretazione è un’assoluta novità sul fatto, finora inspiegato, che l’ottava brigata Garibaldi Romagna mancò l’obiettivo strategico dell’intera azione bellica, che era rappresentato dalla liberazione di Forlì, la città del Duce. L’entrata dei partigiani in città fu impedita dagli alleati e voi ora ne date una spiegazione storicamente fondata. Ma facciamo un passo indietro. Nella nascita della lotta armata nel forlivese l’Uli ebbe un ruolo fondamentale. Leggo nel vostro libro che inizialmente si formò un organismo unitario di comando militare, che prese il nome di Fronte Nazionale, il cui leader era Giusto Tolloy già maggiore dell’esercito, ma di cui facevano parte anche altri militari di carriera. Fu questo organismo, dunque, ad iniziare l’organizzazione dei primi gruppi partigiani. Bonali. Sì, a ottobre/novembre ’43 si costituisce il Fronte Nazionale, in cui confluiscono oltre che gli uomini dell’Uli, anche dirigenti comunisti, alcuni di questi da poco liberati dal confino, come Tabarri. Le prime indicazioni del Fronte Nazionale, a capo del quale era Tolloy, appunto, prevedono l’individuazione di due zone in cui concentrare i giovani renitenti e i volontari. Per il forlìvese si pensa alla Campigna, invece per Cesena si parla della zona di Pieve di Rivoschio e di Montecavallo. In queste zone si dovevano costituire insediamenti, baraccamenti, concentrare armi e viveri, eccetera. Dopo le prime iniziative di ricognizione, a seguito di queste decisioni del Fronte Nazionale e del rifiuto dell’Ulidi sottostare al comando del governo del Re, la componente comunista però si autonomizza, teorizza la guerriglia e comincia ad agire per conto proprio. Inviato da Milano, arriva Antonio Carini (Orsi) che è uno degli uomini al vertice nazionale delle brigate Garibaldi, è membro del Comando Generale, agli ordini di Longo e Secchia. Arriva in Romagna nel suo ruolo di ispettore generale e si insedia a Forlì a fine ottobre. A questo punto, non essendoci a Forlì un uomo in grado di coagulare il movimento partigiano in formazione e di comandarlo sul campo, su iniziativa comunista, viene indirizzato da Ravenna Riccardo Fedel, nome di battaglia Libero Riccardi. La decisione di indicare Libero per il comando fu presa in un incontro dei giorni immediatamente successivi l’8 settembre all’hotel Mare Pineta. Ancora Ettore Sovera che, pur non essendo comunista, ospita a proprio rischio questa riunione a cui partecipò anche il padre di Massimo D’Alema, che lavorava a Ravenna come ispettore scolastico. Siamo a novembre, dopo un tentativo fallito di insediamento delle formazioni armate nell’Appennino faentino ed imolese, Libero viene spostato nel forlivese e il primo dicembre diventa il comandante designato, diciamo, dalla componente comunista, e s’insedia a Pian del Grado con un pugno di uomini. Da quel momento la brigata comincia a crescere, sotto lo sguardo attento e la consulenza dei due generali di brigata inglesi, ma anche di quello di Orsi. Successivamente, partiti i due generali il 13 marzo, trucidato Orsi dai fascisti a metà dello stesso mese, comincia la fase che porterà, a fine marzo, alla rimozione di Libero e poi, in aprile, arriverà il grande rastrellamento che distruggerà la brigata. Nel frattempo, a livello nazionale e internazionale succedono fatti importanti, fra cui la “svolta di Salerno”, che è dello stesso mese di marzo del ’44. Questa è una parte importante del processo politico che, con riferimento ai fatti in Romagna, è sempre stato ignorato. Consentimi di parlarne. Dopo l’8 settembre, il movimento antifascista, comunisti in testa, è radicalmente avverso alla monarchia. Negli ultimi giorni del gennaio ’44, a Bari già liberata, si tiene un congresso dei partiti antifascisti. In quel consesso, con una gradualità di posizioni che vanno dalle più anti monarchiche, che sono quelle dei comunisti, dei socialisti, degli azionisti, fino alle più moderate di cattolici e liberali, si decide la non collaborazione col governo Badoglio. Che a quel punto si regge solo con l’appoggio della monarchia e degli alleati. è un governo che non ha radicamento nella società civile e fra le forze politiche. A quel punto, con una mossa molto abile, il capo della diplomazia di Badoglio, l’ambasciatore Prunas, incontra il delegato sovietico nell’Italia liberata, che è Vichinsky. Costui era stato il pubblico ministero nei processi staliniani degli anni 30, quindi un uomo di “sicura fede”. Prunas gli propone un do ut des: il governo sovietico riconosca il governo Badoglio e noi siamo disponibili a fare entrare il Partito Comunista nel governo. Vichinsky rientra a Mosca e riferisce a Stalin. Mi pare il 3 marzo del ’44, questi convoca Palmiro Togliatti, presente Vichinsky, lo informa della novità: del do ut des. Gli dice, in sostanza: “Noi riconosciamo Badoglio e tu diventi vice Presidente del Consiglio in Italia”. A Mosca si decide che il Pci entrerà nel secondo governo Badoglio. Il leader comunista italiano si adegua alla decisione di Mosca, fa un lungo percorso e attraverso l’Iran arriva in nord Africa da dove si imbarcherà per Napoli negli ultimi giorni del marzo ’44. Nel frattempo, il 13 marzo, radio Mosca aveva annunciato il riconoscimento da parte sovietica del governo Badoglio. Quindi, in Italia tutti sanno già che il governo Badoglio è stato “battezzato” da Stalin. A Napoli, ritrovato il gruppo dirigente del Pci dell’Italia liberata, Togliatti espone la nuova linea: cioè l’ingresso dei comunisti al governo. E’ quella che sarà chiamata “la svolta di Salerno” perché a Salerno c’era la sede del secondo governo Badoglio. La svolta non fu priva di
traumi all’interno del Pci e fuori. Ci sono coloro che rimangono antimonarchici, come Scoccimarro e molti altri. Soprattutto nell’Italia settentrionale occupata c’è difficoltà a far passare la nuova linea, sia all’interno del Pci che del fronte antifascista. Giorgio Amendola, quando scrive da Bologna al comando di Milano, riferisce che in Romagna persistono posizioni “settarie”; che vuol dire che non accettano la svolta di Salerno. Libero è uno di quelli che erano convinti che quella che stavano facendo dovesse essere una guerra di liberazione dal nazifascismo con un’importante componente sociale. Già nei primissimi giorni di marzo la direzione del PCI aveva diramato le disposizioni per la caratterizzazione comunista delle brigate. Il fatto che ci sia questa ulteriore refrattarietà alla svolta mette in moto un meccanismo di emarginazione nei confronti dei comandanti che non si adeguano. Libero viene allontanato dal comando e sostituito da Ilario Tabarri (Pietro), che gli subentra il 27 di marzo. Sarà poi fucilato sulla base di false accuse. In sede di ricerca storiografica si scoprirà successivamente che il comando della 29a GAP di Forlì aveva comunicato al comando generale delle brigate Garibaldi che “la sentenza di morte emessa il 22 aprile ‘44 dal Tribunale militare dell’VIII brigata Garibaldi “Romagna” contro l’ex comandante Libero Riccardi è stata eseguita dal 2° distaccamento della 29a brigata Gap in data 12 giugno ‘44.” Firmato, Sergio Flamigni, commissario politico. Destino simile accadde anche ad altri. La gran parte dei primi comandanti emiliano-romagnoli sarà rimossa o uccisa: Molinari e Canzi nel piacentino, Castellucci (Facio) nel reggiano, Pini e Rossi nel modenese. Per il comandante della 28a Gap ravennate, Falco, un non comunista che era stato il vice di Libero, la sorte è meno arcigna: i partigiani entrano a Ravenna con Falco al comando, ma immediatamente dopo la liberazione della città egli è allontanato dal comando stesso e collocato nel Cnl. A quel punto gli subentra Arrigo Boldrini (Bulow). A lui viene appuntata sul petto la medaglia d’oro, quantunque Bulow non fosse mai stato comandante della 28° Gap, ma capo del “Comando Piazza”, un ruolo sostanzialmente politico. Svolta di Salerno vuol dire cambiare la strategia; vuol dire prendere in mano la Resistenza.
Galeotti. Torniamo in Romagna e consideriamo le principali accuse rivolte a Libero. Una di queste è di essersi montato la testa, di voler costruire un esercito simile a quello regolare. In realtà questo mandato gli era stato impartito, prima di andare in montagna, proprio dal Fronte Nazionale e da Tolloy.. Fra l’altro Dino Mengozzi, nel suo saggio sull’Uli, ne “La Romagna e i Generali inglesi”, ci spiega come l’idea della costituzione di un esercito italiano di liberazione nazionale, autonomo rispetto alla monarchia, è ispirata da Benedetto Croce e ripresa dal generale Pavone che, a un certo momento, ne tenta concretamente la formazione. Esiste quindi nel paese una corrente di pensiero che andava in questa direzione e coinvolgeva trasversalmente parti importanti dell’antifascismo liberal-socialista, fra cui appunto Tolloy, Spazzoli e l’Uli. Quando poi Libero incontra in montagna i due generali inglesi questi gli confermano che quella è esattamente la cosa giusta da fare. Anzi, insieme pianificano la costituzione di un comando partigiano interregionale in diretto contatto con gli alleati. Bonali. Non solo, i generali inglesi consigliano con forza al comandante di non ingaggiare combattimento con i tedeschi fino a quando non avrà la potenza militare necessaria a scontrarsi con loro. Il consiglio, in quel momento, è di limitarsi ad usare le armi solo contro i presidi fascisti. È vero quel che dici, ma considera che le accuse nei confronti di Libero emergono solo dal rapporto di Pietro, il nuovo comandante, rapporto che è scritto a posteriori, nel luglio 1944, quando Libero è già stato fucilato, senza che un atto di tale importanza sia neppure annotato nel rapporto. Si scopre poi che in data primo agosto, Primo Dellacava (Renzo), ufficiale di collegamento del Cumer (Comando Unico Militare Emilia-Romagna) con sede a Bologna, scrive a Tabarri e lo informa di avere riscritto il suo rapporto diretto al Comitato di Liberazione Nazionale (organo interpartitico) e, di converso, di avere già ottenuto il consenso del Partito sulla nuova versione. Insomma, due sono le versioni del rapporto Tabarri, a seconda dei destinatari. Nel nuovo rapporto, riscritto da Dellacava, la figura di Carini (Orsi) sparisce, non è menzionato, nonostante fosse stato trucidato dai fascisti a marzo di quello stesso anno. Nel rapporto originale di Tabarri era invece descritto come un pusillanime, un subalterno a Libero, un quaquaraquà,. Dunque, di quello che verrà assunto come fonte storica primaria, -cioè il rapporto Tabarri- esistono due versioni del tutto differenti, entrambe scritte a posteriori, a ricostruzione di fatti accaduti mesi prima. Nel frattempo tutta la documentazione del periodo del comando di Libero è distrutta. Giustifica Marzocchi (responsabile della polizia nella VIII Brigata comandata da Tabarri) “…per timore che finisse in mano ai tedeschi”. Inoltre, Tabarri dà alla famiglia Fedel l’informazione sulla fucilazione di Libero a guerra abbondantemente finita e solo dopo la pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale della falsa dichiarazione della sua appartenenza all’Ovra, la polizia segreta fascista. Dichiarazione successivamente smentita dalla commissione ministeriale di verifica, la quale sentenziò: “…certo è che da tutti gli atti non risulta essere stato il Fedel assunto a confidente dell’Ovra…. Ciò peraltro trova corrispondenza nell’annotazione che leggesi sulla copertina del fascicolo 101 bis. – Non ha mai fatto servizio-.” Ecco rivelato un altro falso!
Bandini. Ma dopo settant’anni la leggenda nera del comandante Libero regge ancora.
Galeotti. Andiamo con ordine. Parlavamo del mandato impartito dal Fronte Nazionale a Libero, mandato poi sostanzialmente confermato e ampliato nel rapporto con i due generali di brigata inglesi. Sappiamo inoltre che Carini, nella sua funzione di ispettore generale delle Brigate Garibaldi era in zona e dunque avrà senz’altro espresso le sue considerazioni sulla situazione della Brigata.
Bonali. Orsi entra in brigata verso il 10 gennaio ’44, subito dopo i generali.
Galeotti. Possiamo desumere che anche il comando generale fosse informato di quanto stava succedendo in Romagna e in particolare della presenza dei due alti ufficiali alleati in brigata. Del resto se il comportamento di Libero fosse stato in contrasto con la visione del comando generale, Orsi aveva tutta l’autorità per fermarlo o destituirlo cosa che, secondo quanto riferito nello stesso rapporto Tabarri, non ha fatto.
Bonali. Non solo, Carini rientra a Forlì verso la metà di febbraio, dopo essere stato più di un mese in brigata, dove poi rientrerà nei primi giorni di marzo. I generali inglesi scrivono nel loro rapporto segreto che proprio in quei giorni era emersa la designazione di Libero a capo di Stato Maggiore interregionale. Gli inglesi infatti, assieme a Libero, avevano contattato le formazioni partigiane delle Marche e della Toscana per suggerire un comando unificato strategico. Secondo il piano e gli accordi raggiunti, ciascuna brigata avrebbe conservato la propria autonomia, però in coordinamento con un comando unificato al cui vertice viene indicato lo stesso Libero. Quindi, Fedel è posto al vertice delle forze partigiane nelle tre regioni che sono strategiche, perché dislocate attorno al futuro insediamento della Linea Gotica. Dunque Carini torna in montagna prima che i due generali se ne vadano e li incontra, anche a casa Spazzoli, ai Sassoni di Spinello, come testimonia il partigiano Secondo Tartagni. Come gli contesta lo stesso Ilario Tabarri, Carini legittima la decisione di fare di Libero il comandante dell’area che ricomprende le tre regioni. Di lì poi parte per la pianura assieme a Tartagni, nonostante il cammino sia reso difficile da una nevicata eccezionale. Evidentemente, torna in pianura per comunicare al comando generale delle Garibaldi l’importante notizia: Libero dovrà coordinare la lotta armata sugli Appennini centrali.
Galeotti. Non riuscirà nel suo intento però, perché sarà arrestato dai fascisti lungo il cammino, a Gualdo di Meldola, torturato per una settimana e poi trucidato. Ai primi di aprile succede un fatto storico importante: l’Unità clandestina comunica (riferendo una decisione previa del Comando Generale Brigate Garibaldi) che, per importanza e numero di azioni svolte e per numero di effettivi raggiunto, al Gruppo Brigate Romagna sono stati riconosciuti il merito e le caratteristiche per trasformarsi in Brigata, assumendo il nome di VIII Brigata Garibaldi. Questo fatto è importante per molti motivi, uno di questi è che nella nascita stessa della Brigata c’è un implicito riconoscimento del ruolo svolto dal comandante Libero. Un altro motivo è che con tale provvedimento quel gruppo combattente rientra ufficialmente fra quelli controllati dal Pci.
Bandini. Succede tutto nel mese di marzo: la partenza di Combe e Todhunter dalla Romagna, la nascita dell’VIII Brigata Garibaldi, la morte di Carini, la destituzione di Libero.
Bonali. Il mese della svolta di Salerno. Sarà un caso?
Galeotti. I due generali, al rientro, scrivono nel loro rapporto segreto che hanno lasciato Libero con una forza che al momento (giugno ’44) potrebbe essere di diecimila uomini, distribuiti in tre regioni, a cavallo della Linea Gotica. E che, il piano concordato lo vedeva coordinatore di quell’esercito di liberazione partigiano.
Bonali. Proprio così. Non “che avrebbe dovuto essere”, ma che lui “è il coordinatore delle tre brigate”. Quando Combe, alla liberazione, apprende che invece l’hanno fucilato, ovviamente, la prende molto male.
Galeotti. Inoltre, non dimentichiamo che Neame era già rientrato da mesi. Aveva già informato i Servizi alleati che i due generali erano rimasti con i partigiani. Bruno Vailati era già stato due volte al sud presso gli alleati e poi tornato. La conferma che il piano concordato fra Libero e Neame era già diventato operativo ci deriva anche dal primo lancio di armi, munizioni e denaro che era già stato effettuato il 5 aprile 1944. Certamente, uno dei primissimi lanci di materiale bellico a gruppi della resistenza italiana. Quel lancio era il frutto degli accordi con Neame e con Vailati, perché a quel tempo Combe e Todhunter erano ancora in viaggio fra Marche e Romagna nel tentativo di imbarcarsi per il sud. Bonali. è opera di Neame! Quando lui rientra nelle linee alleate, a Natale ’43, viene portato a Bari dove a incontrarlo ci sono Alexander e Eisenhower. Fa rapporto a loro, che gli mettono un aereo a disposizione per recarsi a Tunisi, dove Churchill lo riceve immediatamente, anche se è a letto ammalato. Neame, non era uno qualunque, sollecita i lanci di armi e rifornimenti, dopo che aveva addirittura individuato sul posto i luoghi adatti. Ma non solo. Tutta l’impostazione che gli alleati daranno alle relazioni con le forze partigiane sul campo, alla loro presenza fisica nelle brigate, alla composizione delle missioni che manderanno presso le brigate del nord, ricalca l’impostazione suggerita da Combe e Todhunter nel loro rapporto. Le prime missioni militari che gli inglesi lanciano presso le forze partigiane nel nord Italia cominciano a partire dal giugno, dopo che i due generali hanno presentato il loro rapporto. Quello con Libero è il primo incontro che lo stato maggiore inglese ha con i partigiani italiani. Un incontro di importanza strategica, volutamente ignorato per decenni.
Galeotti. La storia che ci avete raccontato comincia a Seghettina con l’incontro fra Torquato Nanni e i generali. Non mi pare però che la figura di Nanni sia particolarmente valorizzata nella storiografia dell’antifascismo locale.
Bonali. In particolare sulla figura di Nanni si è mantenuta una specie di maledizione fino agli anni 80. Poi ci sono stati gli studi di Renzo De Felice e i saggi di Oscar Bandini e Giuseppina e Ughetta Cavallucci. A metà anni 80 abbiamo organizzato un convegno a S.Sofia, da cui è stato tratto anche un libro, grazie all’impegno e alle capacità del professor Lorenzo Bedeschi. Da quel convegno è uscita la riabilitazione definitiva di Torquato Nanni ed a questo scopo partecipò ai lavori anche Luciano Bergonzini, che è stato uno storico del movimento partigiano di area comunista, che raccontò come i Gap bolognesi l’avessero ucciso assieme ad Arpinati a Malacappa, nei giorni della liberazione. Da quel convegno è finita la maledizione. Per oltre trent’anni l’avvocato socialista era stato definito fascista perché l’amico Arpinati, romagnolo di Civitella, lo aveva ospitato con la famiglia nella sua tenuta della campagna bolognese, dove aveva perso la vita per mano partigiana.
(a cura di Rodolfo Galeotti)
Tutta un’altra storia…
Ricordiamo che la prima parte di questa intervista è stata pubblicata nel numero 12 di Questa città. In quel caso Bandini e Bonali ci hanno ricordato dell’avventurosa fuga di un gruppo di altissimi ufficiali alleati usciti dal campo di prigionia dopo l’8 settembre ‘43, e del loro viaggio attraverso una Romagna occupata dai nazifascisti. Ci hanno raccontato del ruolo stoico e insostituibile delle popolazioni rurali dell’alto Appennino romagnolo nel soccorso al gruppo degli ufficiali alleati. Ci hanno raccontato inoltre del ruolo di guida e di indirizzo politico svolto dall’Uli (Unione Lavoratori Italiani), una formazione politica antifascista locale che, per un certo periodo, ha rappresentato il principale riferimento dell’antifascismo romagnolo e che fu attiva nell’organizzazione delle prime formazioni partigiane. Ci hanno infine raccontato dell’incontro fra il gruppo dei generali inglesi e alcuni fra i più influenti personaggi dell’antifascismo romagnolo, fra cui Tonino Spazzoli, Torquato Nanni, Giusto Tolloy e Pietro Spada. In questa seconda parte Bandini e Bonali, con la partecipazione di chi scrive queste righe, tornano ad affrontare il traumatico avvicendamento al vertice dell’VIII Brigata Garibaldi Romagna, avvenuto a fine marzo ‘44, e conclusosi con la fucilazione del primo comandante, Riccardo Fedel, nome di battaglia Libero Riccardi. Il Comandante Libero non solo fu fucilato, ma anche privato dell’onore di combattente e coperto d’infamia. La sua “maledizione” perdura tuttora. In questa parte dell’intervista, che va letta ad continuum con la prima, è descritto il quadro politico generale in cui maturò la destituzione di Libero. In essa emerge l’importanza determinante delle relazioni e della collaborazione instaurata da Libero con gli alleati, attraverso la presenza in Brigata, per oltre due mesi, di due generali del gruppo dei fuggitivi. Ci viene raccontato del piano strategico per la conduzione della guerra partigiana elaborato da Libero insieme ai due generali inglesi. Da questa intervista emerge inoltre una novità assoluta: viene avanzata una lettura, argomentata e del tutto plausibile, della ragione per la quale gli alleati negarono all’VIII Brigata Garibaldi Romagna l’onore e l’onere di essere parte attiva nella liberazione di Forlì. Della ragione, anzi, per cui venne fermata a Meldola, disarmata e precocemente dissolta. Ragione direttamente legata all’eliminazione del Comandante Libero. Ma la “maledizione” di Libero pare non sia stata la sola. Anche il leader dell’antifascismo santasofiese, l’avvocato Torquato Nanni, già Sindaco socialista della cittadina, perseguitato e condannato al confino dal regime, fu colpito da sorte simile e di questo ci parlano gli stessi intervistati. Se non proprio una maledizione, certamente un silenzio, una sordina che suscita interrogativi inquietanti, ha coinvolto altri personaggi. Il ruolo di Tonino Spazzoli è davvero poco evidenziato dalla storiografia locale: egli fu iperattivo per mesi per poi fare una fine tragica, come quella del fratello minore Arturo. I due fratelli furono determinanti in entrambe le trafile di salvataggio dei generali inglesi, erano in diretto contatto con gli alleati, parteciparono alla Missione Zella, misero in gioco il loro patrimonio personale, entrambi persero la vita. Furono straordinari attivisti antifascisti. Ma Tonino Spazzoli era anche amico personale dell’ex gerarca fascista Leandro Arpinati, così come il socialista Torquato Nanni. Una trasversalità di relazioni forse non ammessa in qualche ambiente. Un altro personaggio non molto considerato e tenuto forse artatamente in ombra è quello del Comandante Falco (Alberto Bardi). Già vice di Libero, è protagonista con i suoi uomini di quello che è probabilmente l’unico scontro vincente in campo aperto fra partigiani di montagna e forze armate tedesche: la battaglia di Calanco, nei pressi del villaggio di Fragheto, nel Montefeltro. Dopo il devastante rastrellamento di aprile ’44 Falco tornò nella sua città natale, a Ravenna, dove di lì a poco assunse il comando della neonata 28° Gap alla testa della quale, a dicembre ’44, liberò la città. Curiosamente questa storica figura viene ricordata più per i presunti errori che per i suoi meriti. Nel libro di -Mira e Salustri -“Partigiani, popolazione e guerra sull’Appennino – L’8° Brigata Garibaldi Romagna”, 2011, Società Editrice il Ponte Vecchio- Falco viene incolpato di avere disobbedito per tre volte a Tabarri. Le due autrici non spiegano però come mai ad un comandante così sprovveduto ed incline alla disobbedienza di lì a poco venga affidato il comando di una nuova brigata. Liberata Ravenna Falco viene estromesso dal comando e sostituito da Boldrini (Bulow), entra a far parte del Cln per qualche tempo e poi sparisce dalla scena. Diventerà un affermato pittore e direttore della Casa di Cultura a Roma. Qualcosa di simile riguarda lo stesso Bruno Vailati. Tenente del Regio esercito, arriva in Romagna dopo l’8 settembre. Viene a S. Sofia a casa di Torquato Nanni perché amico di suo figlio Torquatino, di cui era stato compagno d’università a Bologna. Quando Nanni va a Seghettina a incontrare i generali, lo porta con sé, perché Bruno parla un buon inglese. E qui comincia l’avventura: accompagna i generali nelle loro peripezie attraverso la Romagna occupata, passa il fronte insieme a loro, nella stiva di un peschereccio. Al sud viene addestrato alle tecniche della guerriglia dai Servizi alleati e il primo giugno ’44 paracadutato vicino a Spinello di S. Sofia con un marconista e una radio che va distrutta nel lancio, mentre lui si frattura una caviglia. A luglio, ristabilitosi e assunto il nome di battaglia Italo Morandi, comincia l’addestramento dell’ VIII Brigata e finalmente la trasforma, per ammissione di chiunque l’abbia conosciuto, in una forza militare propriamente detta. Rimarrà con la Brigata fino all’arrivo delle truppe alleate e al suo traumatico scioglimento. Immaginiamo con quale imbarazzo Vailati abbia rivisto il Brigadier Generale James Combe, che già aveva incontrato a Seghettina mesi prima e che, con ogni probabilità, gli chiese notizie della brigata, di Libero e del piano fra loro concordato. Vailati deve quindi comunicargli che Libero è stato fucilato dal nuovo comandante, a sua insaputa, in pianura, appena pochi giorni dopo il suo arrivo in Brigata. Di lì a poco il Comando Alleato diede ordine all’VIII Brigata Garibaldi Romagna di concentrarsi a Meldola, impedirono il loro impegno militare nella liberazione di Forlì, la disarmarono, la sciolsero. A fine novembre ‘44 l’VIII Brigata non esiste più. Vailati lasciò poi la Romagna e, di lì a pochi anni, sarà un affermato regista cinematografico.
(Rodolfo Galeotti)