Il general’s party

Tratto da Roger Absalom, L’alleanza inattesa, (edizioni Pendragon 2011) pp 166-170

Tra le storie relative alle fughe, una che documenta in modo eccezionalmente dettagliato gli elementi appena menzionati è quella che riguarda il Generals’ Party, il gruppo di ufficiali britannici di grado superiore (da generali di brigata in su) che, dopo l’armistizio, fuggirono da un castello vicino a Fiesole, sulle colline fuori Firenze, e raggiunsero un angolo remoto della provincia di Forlì, in Romagna. Sebbene non fossero i primi del loro grado a fuggire con successo, furono certamente i primi a sperimentare appieno l’im­patto della complessità sociale e politica dell’Italia.
[…]
Il Generals’ Party che, con l’aiuto iniziale del generale italiano che aveva il comando del presidio di Firenze, era salito su un treno ad Arezzo il 9 settembre, era comandato dal generale Philip Neame. I membri del gruppo furono aiutati per gli otto mesi successivi da un’incredibile varietà di persone, dal Gran Priore dei monaci camal­dolesi fino ai frati scalzi, da ex gerarchi fascisti e collaboratori di Mussolini, ora impegnati nell’organizzare i partigiani antifascisti, fino a Lorenzo Rossi, un contadino che si era fatto strappare tutti i denti (non da un dentista) per evitare il servizio militare e rimanere nella sua cascina di montagna, dagli avidi prestatori di denaro di paese fino ai pescatori disposti a trasportare i fuggiaschi importanti a sud.
Dopo un breve soggiorno con i monaci dell’Eremo di Camaldoli, sulle montagne a nord-est di Arezzo, questi ufficiali di grado superiore divennero ospiti paganti di una comunità di pove­ri contadini negli isolati paesini di Strabatenza e Seghettina, in mezzo alle gole selvagge e ricoperte di boschi subito a est del Monte Falterona. Qui trovarono molti ex prigionieri di altro rango, alcuni con i piedi doloranti, altri invalidi, che avevano già ricevuto ospita­lità. Una tale concentrazione attirò l’attenzione, non sempre gradi­ta, dei notabili locali, che andavano dai fascisti più o meno dissiden­ti, come gli ex amici di Mussolini, Nanni e Arpinati, agli astuti uomini d’affari e ai dongiovanni benestanti, dagli irriducibili vete­rani antifascisti come Giuseppe Spada, e dall’ex seguace di D’Annunzio di nome Spazzoli, fino ai giovani avventurieri come Bruno Vailati, un ex aviatore dell’aviazione fascista che a ottobre convinse il generale Neame a nominarlo suo messo personale per attraversare le linee a sud e avvertire gli Alleati della necessità di organizzare un salvataggio.9

Sorprendentemente (considerato il modo in cui erano normal­mente accolti gli italiani che passavano le linee) Vailati riuscì ad arri­vare alla “A” Force e a conferire con Simonds, fu ascoltato e poi rispedito indietro via mare con denaro e istruzioni. Vennero anche inviati almeno altri due gruppi di “forchette”, indipendenti l’uno dall’altro, mentre due giovani ufficiali, i tenenti Ferguson e Spooner, fuggiti essi stessi per mare, furono rispediti indietro, di nuovo via mare, con l’ordine di scoprire dove si trovassero gli uffi­ciali superiori, sebbene nessuno dei due sapesse una sola parola di italiano. Confusione e rivalità improduttive furono il risultato inevitabile di una serie di tentativi di evacuazione, preceduti e seguiti da spaventosi viaggi in motocicletta o taxi attraverso le pianure costie­re ben sorvegliate e da lunghi periodi di attesa in nascondigli sco­modi, il tutto per arrivare a un nulla di fatto.
[…]’
Il gruppo di Neame comprendeva il generale Richie O’Connor, il generale di divisione aerea Owen Boyd, Ferguson, Spooner e un soldato sudafricano smarrito […], Vailati, Galluzzi (uno dei “coadiuvanti” di minore importanza) e padre Leone Checcacci, il frate elemosiniere che era loro complice da quando, in principio, avevano soggiornato nel monastero e che, con il suo parlare vanaglorioso, aveva fatto ben poco per mantener­li al sicuro. I generali e i loro compagni salirono a bordo prima del­l’alba il 19 dicembre e sbarcarono in mezzo alle forze amiche a Termoli il giorno dopo. Neame e O’Connor, con grande delusione della “A” Force, che aveva organizzato il loro salvataggio, rifiutaro­no di essere interrogati e la sera se ne andarono a cena con il gene­rale Alexander e il generale Eisenhower; per il giorno di Santo Stefano i generali avevano già fatto ritorno in Inghilterra, dopo una breve tappa ad Algeri, dove parlarono con Churchill (in quel momento messo fuori combattimento da una polmonite) e riferiro­no le loro esperienze e impressioni al vice di MacMillan, Roger Makins, il quale, di fronte alle loro entusiastiche richieste di soste­nere i partigiani italiani che si opponevano a Badoglio, commentò laconicamente: “Certo, il loro girovagare si è svolto principalmente in una parte dell’Italia tradizionalmente repubblicana”»
Una volta stanati dal loro rifugio sulle montagne a Strabatenza e costretti alla fuga, i componenti del Generals’ Party dovettero continuare a spostarsi quasi quotidianamente, spesso divisi in pic­coli gruppi, seguendo in bicicletta una guida italiana che pedalava a distanza di sicurezza davanti a loro. Questo diede loro la possibili­tà senza pari di “toccare la guerra con mano” nel ruolo di fuggia­schi costretti a fare i conti con le complessità dell’ecosistema socia­le e culturale dei contadini. In termini di capacità di non essere sco­perti, la caratteristica principale di questo ambiente umano era la conoscenza (e la padronanza) che i contadini che li proteggevano avevano dello spazio locale, il che consentiva loro di evitare di esse­re scoperti o catturati servendosi di aspetti dell’ambiente fisico e sociale, a cui i loro nemici non avevano accesso. Neame era un organizzatore e un osservatore iperattivo perfi­no mentre era in fuga e il suo libro è prezioso per i dettagli che for­nisce sui contadini delle montagne romagnole e sul loro comporta­mento, sulle ambiguità dei leader antifascisti della zona e sugli annunci e le sortite relative a non meno di otto tentativi di salva­taggio appositamente organizzati per lui. Quando fu finalmente messo in salvo dalla “A” Force appena prima di Natale del 1943, aveva fatto, per conto degli Alleati, una serie di promesse a gruppi e singoli, che la Commissione Alleata di Verifica si trovò a dover mantenere come meglio poteva, con sempre maggiore irritazione e a un costo totale di circa quattromilacinquecento sterline dell’epo­ca. In altri casi, come in quello della Croce Militare che avrebbe dovuto essere conferita “sul campo” a un ex ufficiale italiano (Vailati) “per il suo coraggio e la sua intraprendenza nell’attraver­sare le linee per poi tornare nel Nord Italia”, la promessa non fu mantenuta affatto.
L’aspetto politico dei rapporti presentati dai generali Neame e O’Connor e dai generali di brigata Combe e Todhunter (dovrebbe essere tenuto a mente che gli ufficiali britannici non erano necessariamente preparati in materia) potrebbe sembrare piuttosto superficiale, in quanto si limita alla fiduciosa convinzio­ne che gli italiani attivi nella Resistenza non rappresentassero alcun pericolo per gli interessi politici degli Alleati (cioè degli inglesi e degli americani) e che la cosa peggiore che sarebbe potu­ta accadere dopo la guerra sarebbe stata qualche vendetta nei confronti dei fascisti che si erano dimostrati particolarmente cru­deli; fatta eccezione per alcuni rari comunisti “ideologizzati” e “russificati”, la vasta maggioranza dei partigiani che si definisco­no comunisti non era in realtà “più di sinistra dei conservatori inglesi”.” Per quanto riguarda i contadini, sia Neame sia i generali di bri­gata Combe e Todhunter riconoscevano che la mezzadria li aveva resi “o fortemente comunisti o pronti a seguire qualsiasi figura dominante nel distretto che sia loro ben nota”. Ma nemmeno qui essi percepivano una minaccia per l’ordine pubblico: così forte era l’influenza morale degli ufficiali britannici (gli americani non furo­no menzionati), perfino quando in fuga e dipendenti dall’ospitalità dei contadini, che non si doveva temere niente nel dopoguerra: “Gli italiani di tutte le classi e di tutti gli orientamenti politici desidera­no ardentemente imitare la democrazia britannica, sebbene non abbiano idee chiare su come raggiungerla”.
Almeno altrettanto importante dal punto di vista storico, se interpretati con intuito storiografico, sono i meticolosi rapporti sti­lati da Neame e dai due generali di brigata in cui l’operato dei sin­goli “coadiuvanti” è analizzato nel dettaglio e vengono raccoman­dati ricompense e/o onori adeguati. È qui che la massiccia docu­mentazione sulla fuga e il salvataggio di questi ufficiali di grado superiore risulta più preziosa, poiché rivela quanto, nel giro di alcuni mesi, le relazioni tra questi membri di una casta remota ed estranea e i loro protettori contadini potessero diventare strette, risultando, da entrambe le parti, in un atteggiamento intensamen­te altruista, che non era giustificabile solo sulla base di una presta­zione di servizi in cambio di denaro o della forza della tradizione e della consuetudine. […]

Questa voce è stata pubblicata in Uncategorized. Contrassegna il permalink.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *