Tina Gori

Ho sottomano l’articolo che Icilio Missiroli dedicò alla Signora Tina Gori subito dopo la morte avvenuta a Forlì il 6 gennaio 1947. «Il Pensiero Romagnolo» accoglieva infatti, l’11 gennaio successivo, le nobili, accorate parole di Icilio che di Lei fu amico fraterno e devoto. La bellezza di quelle frasi, l’alto sentimento che le ispirava faranno da guida al breve profilo sulla Signora Tina. Atea per la verità era il nome impostogli dal padre anarchico, quand’Ella nacque il 26 gennaio 1900, ma che però la Signora non fece mai suo: Tina si firmava e così tutti la conoscevano. «Giovinetta ancora – affermava Missiroli – predilesse i propri compagni di scuola che l’ebbero quale sorella durante l’altra guerra, corrispondente premurosa, anello di collegamento fra di loro». Quando morì al fronte uno di essi, Peppino Vallicelli, Ella scriveva un preciso e vivo cenno biografico del giovane volontario caduto ventenne sul Montello nel giugno1918, decorato con medaglia d’argento al V.M. In queste pagine piene di amor di Patria e di sentimento affettivo nei confronti dell’eroe, Tina Gori concludeva: «E nel nostro animo, o Peppino, o piccolo e glorioso figlio dell’ardente nostra terra, morto della morte più bella, per la causa più santa, tu resterai eternamente vivo ad alimentare la nostra fede più pura».

Fornita di intelligenza acuta e di spirito, sensibile «Ella seppe senza presunzioni intellettualistiche avvicinare pensatori e artisti, vivendo in comunione con essi… Ma fu soprattutto attratta dalla politica.., perché sentiva profondamente i problemi col proprio tempo e comprendeva che era dovere vivere la vita del proprio Paese, partecipare delle sue glorie e delle sue sventure, sentirsi solidali coi propri fratelli e non negare ad essi l’apporto della propria esperienza e della propria passione».
Politicamente vicina ai mazziniani, fu avversa al Fascismo «non tanto per i danni materiali che avrebbe portato con sè, quanto per il disperdersi, con la negazione della libertà, della coscienza morale e politica degli italiani»

Continuava e precisava sempre Missiroli che Tina Gori «non sapeva rinunciare per gli amici alla propria personalità ed alla propria indipendenza e fu spesso tenace avversaria delle nostre vedute, con una libertà di giudizio che era la forma più alta di una fattiva collaborazione. Così tutti sentimmo in Lei una guida…».
Qui vorrei aprire una parentesi, una parentesi curiosa e puntualizzatrice e, perché no, imprevedibile: è nota la solidale amicizia fra Tina Gori e Tonino Spazzoli; la personalità forte e carismatica del futuro eroe e martire della Resistenza è fuori discussione. Ella ne subì l’influsso (peraltro ricambiato per la indubbia personalità della Signora). Si conoscono anche le corrisposte amicizie di Spazzoli sia con Leandro Arpinati, gerarca fascista, poi ex gerarca oppositore del Regime e confinato politico, infine con Ettore Muti, anch’egli romagnolo come l’ex Podestà di Bologna, Segretario del Partito nazionale fascista dal 1939 al 1940.

Una solidarietà quest’ultima che avrebbe portato nientemeno, da parte di Spazzoli, a chiedere a Muti, famoso aviatore, di bombardare col suo aereo Palazzo Venezia con l’intento di spazzar via Mussolini e il Fascismo; la risposta di Muti fu comunque decisamente negativa. Ebbene, nel giro dell’amicizia Muti-Spazzoli, ne nacque un’altra Muti-Tina Gori attraverso appunto i buoni uffici di Tonino Spazzoli. I due personaggi tuttavia, non si conobbero mai personalmente, mai si videro, eppure ne uscì una corrispondenza epistolare nel periodo della guerra in cui il gerarca, lo squadrista Muti confidava alla Signora forlivese i suoi pensieri, le sue apprensioni –

così mi dice Adele Ceccarelli, la figlia di Tina Gori – in lettere anche di profonda umanità. La Signora era diventata la confidente spirituale del grande Gerarca che davanti a Lei perdeva le sue prerogative di capo autoritario e si trasformava in persona bisognosa di aiuto, al di fuori della politica. Nel periodo cosiddetto badogliano, verso la fine di luglio o ai primi di agosto 1943, Tina Gori si era trovata in mezzo a contrasti e discussioni animati da un gruppo di antifascisti forlivesi: Francesco Lami, Peppino Casadei, il notaio Virgilio Neri di Faenza, Bruno Casadei ed altri, tutti riuniti nell’ufficio legale di Bruno Angeletti. Il diverbio era nato dalla presenza di Leandro Arpinati nella casa di Tonino Spazzoli di via Oliveti (ora via Fratelli Spazzoli). Arpinati aveva avuto un passato burrascoso di squadrista, quindi da molti non era visto di buon occhio, anzi.

Si arrivò allora a parole grosse contro Arpinati, a vere minacce (mi parlarono dell’episodio Icilio Missiroli e Bruno Casadei); si pensò così di inviare la Signora Gori nell’appartamento di Spazzoli ove vi corse a perdifiato per indurlo ad allontanare subito l’amico. Inutilmente, perché Spazzoli non era uomo da farsi intimidire per cacciare dalla sua casa un amico fraterno come Arpinati. Le minacce comunque rientrarono anche per l’opposizione decisa di alcuni difensori di Spazzoli, Bruno Casadei e sicuramente Angeletti e Neri, che convinsero gli altri a più miti consigli. Poi venne, dopo la caduta del Fascismo, l’8 settembre, data dell’armistizio fra l’Italia e le potenze alleate: iniziava subito dopo la guerra civile. Di donne come Tina Gori aveva bisogno la resistenza partigiana e a Forlì era proprio Lei una protagonista della salvezza del prigioniero di guerra tenente pilota americano, Jack Reiter. L’ufficiale si trovava nell’ottobre 1943 ricoverato nell’ospedale G.B. Morgagni di Forlì per la frattura del bacino. Mediante un falso allarme aereo che originava una certa confusione nella città e particolarmente nel nosocomio, l’aviatore veniva prelevato dalla camera d’ospedale, dai repubblicani, l’infermiere Paolino Balzani e Vasco Mancini, e portato poco fuori il recinto ove era ad attenderlo Tonino Spazzoli al volante di una automobile; di lì Reiter trovava rifugio nell’abitazione della Signora Gori in via Giorgio Regnoli per rimanervi ospite con gravissimo pericolo dei compromessi. I medici avevano consigliato all’ammalato lunghe passeggiate per meglio rinvigorire l’arto offeso e nella salutare ma rischiosa missione furono di aiuto prezioso sia Spazzoli sia la Gori che ebbero l’ardire di accompagnare l’ex prigioniero di guerra — per lenirgli la noia della solitudine forzata — addirittura in cinema forlivesi. Qualche tempo dopo il tenente Reiter veniva portato a salvamento, prima in località La Seghettina, nell’Appennino forlivese, infine, con l’aiuto di guide valorose, oltre le linee del fronte assieme ad altri ex prigionieri di guerra alleati.

Donna di coraggio ammirevole «pronta ad aprire la strada anche con le armi» come scriveva Missiroli, Tina Gori «ebbe l’ardire di penetrare nell’ufficio stesso delle SS tedesche per entrare in contatto diretto con Tonino Spazzoli [che era stato arrestato il 7 agosto 1944]; si offrì [poi] spontaneamente a correre in automobile sotto i mitragliamenti aerei per cercare aiuti per Tonino…».

Per cui, lo racconta Giancarla Cantamessa Arpinati nel libro «Arpinati mio padre», la Signora Gori era corsa in due occasioni (accompagnata anche dal fratello di Tonino, Archimede) alla casa di Arpinati nelle vicinanze di Bologna per cercare aiuto; Arpinati si mosse, ma non riuscì nell’impresa, come non riuscì il tentativo che doveva essere messo in opera da un altro fratello di Tonino, Arturo, con il capo partigiano Silvio Corbari. Nel frattempo la Signora Gori cercava di lenire le pene, le ansie, le torture di Spazzoli, facendogli pervenire con grave rischio uova o uova sode attraverso due detenuti comuni e con la complicità di Suor Pierina Silvetti assistente carceraria nel reclusorio femminile del carcere giudiziario di Forlì. E come le uova finissero nella cella di Spazzoli, sbattute in un brodo ristretto, attraverso peripezie e favoreggiamenti, sarà proprio la coraggiosa Suor Pierina (assieme alle altrettante coraggiose Suor Valeriana Collini e a Suor Elvira Ghirardi, assistenti carcerarie anch’esse a Forlì) a scriverlo in una relazione pubblicata a cura di Giacomo Martina.
A sua volta Spazzoli, col favore di fidati carcerieri, faceva pervenire alla Gori dei bigliettini vergati a matita, che poi ella passava agli amici in pericolo. In uno di questi Spazzoli sottolineava «.. Che la Tina agisca anche con qualcuno della guardia qua dentro. Assicurargli rifugio con famiglia». Ella, si buttava così allo sbaraglio offrendo gioielli e pietre preziose alle SS per tentare ancora di salvarlo, ma senza purtroppo alcun risultato positivo. Liberata finalmente Forlì dalle truppe alleate il 9 novembre 1944, questa Donna eccezionale non disdegnò il suo disinteressato aiuto anche a personaggi che, fino a poche settimane prima, vedeva come avversari da combattere, ma che ora aiutava perché in grave pericolo. La fibra di Tina Gori, logorata da mesi di tensione e di tormento, non resse purtroppo a lungo. Concludeva così Missiroli il suo articolo: «Ora Ella riposa nella nuda terra, dove riposò Mario Santarelli che Le fu particolarmente caro, e Tonino Spazzoli, e Silvio Corbari e decine di umili e di buoni che l’ebbero vicina». Con Lei, veramente, scompariva, in quel gennaio 1947, una Donna d’intelletto e di cuore, di rara generosità, indimenticabile e cara.

 (di Mario Proli)

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