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Dal diario di Suor Pierina
I biglietti che Tonino riuscì a far uscire dal carcere grazie a Suor Pierina
Le ore precedenti l’ultimo arresto
(Di Elio Santarelli, estratto da “Il Pensiero Romagnolo” N. 31 e 32, 7 e 14 Settembre 1974)
L’eroe di Romagna Tonino Spazzoli (1899-1944) anche nei suoi anni giovanili era stato uno degli uomini di maggior spicco della nostra terra; volontario nella guerra 1915-18, combattente valoroso negli Arditi, decorato, in prima fila nelle lotte di piazza nel dopoguerra. Repubblicano ardente nelle lotte contro ì socialisti e nelle battaglie per la libertà in opposizione ai fascisti, subiva da costoro soprusi e arbitrii poi il confino di Stato; uscitone, ostentava ancora fermamente la sua fede mazziniana. 25 luglio – 8 settembre 1943: due date fondamentali per Spazzoli, certamente la figura di maggior rilievo della Resistenza romagnola. Ideatore ed esecutore di imprese temerarie che portarono a salvamento molti ex prigionieri di guerra alleati, ed ancora protagonista di altre imprese di non minore impegno e audacia, Tonino Spazzoli aveva dovuto subire un primo arresto nel maggio di quell’infuocato e tragico 1944 con accuse risultate poi infondate e di cui ci parla abbastanza diffusamente Antonio Mambelli nell’inedito «Diario degli avvenimenti di Forlì e in parte di Romagna dal 1939 al 1945» di cui una copia è conservata nella Biblioteca comunale «A. Saffi» di Forlì. Scriveva dunque lo storico forlivese in data 6 maggio: «Aldo Zambelli (detto Palazéna) e Tonino Spazzoli, commercianti di Forlì ed entrambi repubblicani, sono arrestati in Faenza: e ciò è messo in relazione all’omicidio colà avvenuto dì Armando Briganti da Villa Ronco, detto ‘Manden’; si teme assai per la loro sorte». Il 10 maggio, non il 12 come erroneamente scrive Mambelli, «da Faenza ove si trovavano imprigionati dal 6 corr. a seguito dell’uccisione del milite Briganti, sono trasferiti a queste carceri i commercianti Aldo Zambelli e Tonino Spazzoli; questi nostri concittadini hanno corso il pericolo di essere fucilati la notte stessa del loro arresto da parte della Guardia Nazionale Repubblicana, quali presunti autori dell’omicidio avvenuto ad opera di ignoti a Porta Pia in Faenza, circa alle 23. L’accusa era sottoscritta da quattro militi che affermavano d’averla raccolta dalle labbra del morente, mentre lo Spazzoli alla stessa ora si trovava in Forlì e lo Zambelli all’Albergo Vittoria colà. La fucilazione doveva avvenire la mattina seguente ma poi i due erano consegnati ai tedeschi che debbono avere capito che erano innocenti». Infine il 2 giugno, Mambelli indica erroneamente il 6, «rilascio dei repubblicani forlivesi Aldo Zambelli e Tonino Spazzoli; i tedeschi hanno riconosciute infondate le accuse mosse loro dai militi per l’omicidio di Armando Briganti, probabilmente ucciso dai suoi stessi camerati in circostanza di un tentativo di furto.»
Uscito dal carcere Spazzoli continuava a svolgere nella clandestinità la sua missione patriottica in collegamento anche con le Radio della Resistenza, che inviavano messaggi e informazioni preziose agli Alleati e predisponevano azioni per inviare aiuti e armi ai partigiani combattenti. Purtroppo l’arresto del radiotelegrafista Alberto Grimaldi (detto Andrea Zanco), avvenuto negli ultimi di luglio 1944 a Pieve di Cesato, sconvolgeva inevitabilmente l’organizzazione e l’opera specialmente dell’efficacissimo Gruppo O.R.I. (Organizzazione Resistenza Italiana) di cui appunto il Grimaldi era l’operatore attraverso Radio Zella. Operatore radio voleva anche dire conoscere nomi e segreti della Resistenza, per cui la situazione poteva divenire drammatica se il radio telegrafista avesse parlato: e Grimaldi parlò. Spazzoli frattanto si era dato alla campagna tacendo quanto era umanamente possibile per avvertire coloro i quali potevano essere in imminente pericolo; ai primi di agosto portava in salvo, con gravissimo rischio, nella Repubblica di San Marino, Bruno Angeletti presidente del Comitato di Liberazione di Forlì e il repubblicano Antonio Argenti; Angeletti pregò vivamente Spazzoli di rimanere a San Marino, ma egli rispose che aveva ancora alcune cose da sistemare prima di potersi permettere il disimpegno dall’azione. Il 4 agosto era in casa di Augusto Varoli, il notissimo repubblicano forlivese e vi pernottava; all’alba del 5 agosto era già in piedi pronto per altre iniziative. Il 6 egli incontrava in Piazza Morgagni a Forlì Lara Tartagni, staffetta partigiana e figlia di Secondo Tartagni, eroica figura di comandante nella Resistenza forlivese. Ebbene la signora Lara ci diceva della sua sorpresa nel vedere in pieno centro Spazzoli, perchè ella sapeva che era ricercato, braccato da tedeschi e fascisti; la Tartagni tuttavia lo vide apparentemente sereno e tranquillo, ma non potè fare a meno di avvertirlo piuttosto preoccupata:
«Ma cosa fa lei qui? Guardi Spazzoli che i fascisti e i tedeschi la stanno cercando, lo so di sicuro perché me lo ha detto Pino Morgagni». (Il Morgagni, socialista ebbe funzioni di Presidente del C.L.N. di Forlì).
Spazzoli comunque sembrava non dare molto peso all’avvertimento — ce lo sottolineava ancora la signora Tartagni — e rispose che possedeva salvacondotti tali da non avere timore di alcuno.
Il 7 mattina aveva incontrato il dirigente repubblicano Giovanni Querzoli e altre persone. Ci si permetta ora una riflessione rifacendoci ad osservazioni tratte dal libro di Luigi Martini «Dalla bici al sommergibile». Scriveva dunque Martini che Spazzoli, dopo l’arresto del radiotelegrafista Grimaldi non aveva rispettato la decisione «di stare alla macchia e tornò a casa per prendere abiti e valigia».
Affermazione quanto mai errata nei particolari e priva di fondamento, perché Spazzoli non era rientrato nella sua abitazione per recuperare valigia e vestiti, ma per altri e più seri motivi; egli era reduce intanto da giorni tormentati e durissimi per salvare il salvabile, dopo le delazioni del radiotelegrafista arrestato che aveva anche fatto (lo si seppe dopo) il nome e cognome dello stesso Spazzoli. Tonino ha ancora da fare in città ed è allora che manda a chiamare da Voltana di Ravenna, ove era rifugiato, il figlio Aroldo: questi sull’argomento aggiunge ora altre dichiarazioni (dopo quelle che riportammo su «Il Pensiero Romagnolo» del 29 settembre 1984) e che qui trascriviamo: «Circa le osservazioni di Martini non mi piace la frase ‘Non rispettò le decisioni prese….’ che fra l’altro suona un po’ come accusa. Mio padre poi non ha confessato niente anche sotto tortura (nè nomi di amici nè programmi di lotta). Certo rischiava sempre ed i fatti lo hanno dimostrato ».
Poi Aroldo prosegue: «Mio padre mi convocò a Forlì — ero nella Bassa ravennate a Voltana — e ci incontrammo circa alle 9 del lunedì 7 agosto ‘44 di fronte all’allora Bar Impero, poi Bar Godoli (ove attualmente è la Cassa Rurale e Artigiana in Corso della Repubblica). Ci spostammo all’inizio di via Archimede Mellini per 10 minuti in attesa di Urbano Casali, che con un carretto era andato a ritirare dal calzaturificio Zanotti 50 paia di scarponi, che credo dovessero andare alla Banda Corbari o ad altre formazioni partigiane.
Io feci un primo giro e percorsi via Mellini fino in fondo ritornando da via Zanchini.
Tutto pareva tranquillo — in seguito ho saputo che la Gestapo era nascosta nelle case vicine e gli abitanti non potevano uscire o comunicare con alcuno.
Con mio padre e il mio cugino Gino Casali, figlio di Urbano, che era venuto appositamente a Voltana su ordine sempre di mio padre affinché mi recassi all’appuntamento di Forlì, andammo a casa; dopo pochi minuti entrarono i tedeschi e ci costrinsero con le spalle al muro e le mani alzate
Mio padre aveva necessità di andare in casa. Qualcosa era stato costretto a lasciare quando non aveva potuto abitarla più. Forse armi (ne avevamo sotterrate in giardino), senza dubbio un biglietto o un elenco che poi di fronte ai tedeschi ingoiò.
Precedentemente mio padre era entrato nello studio e aveva iniziato a scrivere una lettera indirizzata all’avv. Bruno Angeletti; ai tedeschi piombati in casa, fu facile sequestrare il documento.
Io avrei dovuto recapitare lo scritto ad Angeletti rifugiato a San Marino. Mio padre, conclude Aroldo, fu certamente interrogato sul contenuto del biglietto di difficile interpretazione per chi non era al corrente dei linguaggi convenzionali fra iniziati, ma non parlò; anch’io fui interrogato: all’oscuro di tutto me la cavai negando di conoscere la chiave di lettura che avrebbe dovuto svelare il contenuto.
Mio padre, io e Gino venimmo poi condotti alle carceri di Forlì».
Per Tonino Spazzoli fu la fine e, dopo il lungo martirio sotto le torture, il piombo nemico lo coglieva inesorabile a Coccolia di Ravenna nella notte fra il 18 e il 19 agosto 1944.
(di Mario Proli)
P.S. Ci sembra doveroso ricordare le traversie che dovettero superare ancora Aroldo Spazzoli e Gino Casali; essi patirono alcune settimane di carcere interrogati quasi quotidianamente dai tedeschi. Tolti dalla prigione erano inviati verso il Nord con destinazione la Germania. Sui particolari ci è di aiuto il settimanale forlivese «Libera Voce» del 5 maggio 1945, a pochi giorni quindi dalla fine della guerra in Italia: «Hanno fatto ritorno di recente a Forlì il figlio di Tonino Spazzoli, Aroldo e suo cugino Gino Casali. «Libera Voce» ha desiderato intervistare i giovani, che furono tradotti in principio del settembre 1944, nel campo di concentramento di Fossoli, presso Carpi per essere deportati in Germania quali lavoratori coatti. Nel corso del viaggio di deportazione essi fuggirono, a Mantova, dal torpedone che li trasportava.
Quindi affidatisi alla buona sorte ripararono con l’aiuto di persone amiche a Rovigo e a Adria e attraversarono, a Taglio, il fiume Po. A piedi, con l’aiuto di guide, raggiunsero Codigoro, e a Comacchio, in barca, attraversarono le valli.
Toccata la riva romagnola a Umana, a fine settembre, si rifugiarono a Voltana, ove hanno vissuto fino a metà aprile (quando la località venne liberata) nella casa della famiglia Scacchi che li salvaguardò, assistette e incoraggiò, in tutto quel tempo, amorosamente.»
Dal diario di Suor Pierina
[…] Fu poi la volta di Tonino Spazzoli, capo del movimento di liberazione di cui si dice che siasi mangiato, prima dell’arresto, un documento importante, contenente i nomi di gran parte degli appartenenti. Furono pure incarcerate con lui la sorella e la nipote che più tardi vennero deportate in Germania. Il povero Tonino doveva stare chiuso in cella, ammanettato, senza sedersi né sdraiarsi, senza bere e senza mangiare fino a che non si fosse deciso a rivelare tutto e tutti. Era sorvegliato da due militi, alla sua cella era vietato avvicinarsi persino ai nostri agenti, solo un detenuto venne adibito alle pulizie, con incarico di ritirare il «vaso». I «vasi» erano molti alti, molto capaci, ed il detenuto due volte al giorno ritirava quello di Tonino per pulirlo e poi riportarlo. Quel vaso divenne l’unico mezzo per passare il nutrimento all’infelice ed il detenuto il ponte di collegamento fra noi e lui. Due volte al giorno preparavamo dei cordiali: due uova sbattute in brodo ristretto che la famiglia ci procurava col solito sistema. Mettevamo il cordiale in una bottiglia che facevamo sparire dentro la camicia del detenuto addetto, il quale bussava alla nostra porta, con la scusa di portare roba occorrente. Prendeva poi il vaso per pulirlo e quindi introduceva la bottiglia riportando tutto in cella. Spazzoli appena richiuso, aiutandosi con le mani ammanettate, estraeva la bottiglia, toglieva il tappo con i denti, quindi beveva tutto il contenuto rimettendo il vuoto. Con lo stesso sistema mandavamo i farmaci per tenerlo su, in maniera che nutrito e curato, trovasse forza per resistere e tacere. Così per molti giorni che sembrarono anni. Il detenuto quando veniva a prendere e riportare la bottiglia ci diceva: Sorelle noi moriremo tutti e quattro insieme! E per miracolo sfuggimmo a questa morte! Avevamo anche dei nostri agenti che favorivano i tedeschi! Intanto, nonostante le terribili battiture, Tonino rimaneva di sasso. Il giorno che fu accompagnato a vedere suo fratello Arturo, fucilato ed impiccato in Piazza Saffi, allorché gli intimarono di parlare per non fare la stessa fine, con fermezza dichiarò di non avere nulla da dire. A notte dello stesso giorno fu prelevato ed ucciso nei pressi di Coccolia. I nostri sacrifici non valsero a salvarlo! […]