Aldo Spallicci

Le relazioni del convegno su Aldo Spallicci lette a Forlì in occasione del decennale della scomparsa (1983), ora raccolte a cura della Società di studi romagnoli, spaziano nei vari settori in cui il grande romagnolo si è cimentato, nelle vesti di politico, letterato, poeta, medico, studioso. Un’impresa ardua anche solo soffermarsi su questi temi, dai mille rivoli, dalle mille riflessioni. Per cui, dal ponderoso volume «Aldo Spallicci – studi e testimonianze», Bologna, 1992, pp. 366, coglieremo solo l’aspetto dello Spallicci uomo politico, visto in termini non sempre concordanti sui contenuti dei relatori.

Punti di riferimento il saggio di Luigi Lotti e l’altro di Lorenzo Bedeschi e Dino Mengozzi. Lotti concede a Spallicci la giusta patente di «repubblicano mazziniano di fede intransigente, sostenitore fermissimo della Repubblica come affermazione di democrazia». Sottolinea di seguito che «Spallicci entrò nel partito repubblicano a 26 anni, nel 1912» ed è vero. Ma è pure vero, a completamento di quanto sostiene Lotti a proposito di fasi politiche, che il primo di questi periodi non inizia col 1912 con l’iscrizione al P.R.I., ma è ad esso antecedente. Il relatore dimentica il periodo anarchico o anarchicheggiante del poeta, da pochi forse conosciuto. Comunque, ricordando Cino Macrelli in occasione della scomparsa, Spallicci affermava su «Fede e Avvenire», luglio- agosto 1963: «Noi c’eravamo trovati insieme [con Cino] sui banchi del liceo, quando egli già affrontava le assemblee repubblicane ed io, nella spensierata ribellione dei sedici e dei vent’anni, mi tormentavo nello spasimo avveniristico dell’anarchismo e arrivavo persino ad avere simpatie per i comunardi parigini». Una fede o magari solo una «spensierata ribellione» giovanile che doveva tuttavia tenerlo legato all’anarchismo per alcuni anni, almeno fino al probabile 1906.
Dello Spallicci interventista, che presentò Cesare Battisti a Forlì il 9 febbraio 1915, dei suoi anni al fronte quale ufficiale medico, Lotti ci parla molto in breve; più spazio offre invece al primo dopoguerra. Qui Lotti sottolinea che il romagnolo «ha una posizione troppo marginale» in quei tempi turbolenti e grevi «per poter essere qualificato un protagonista della tragedia».

Spallicci rimase sì al di fuori dal partito repubblicano che si trovò in mezzo a lotte impietose, ma fu il capo del combattentismo forlivese e provinciale per vari anni e fino al 1926, per divenire il pilastro morale e la bandiera per tutti coloro che non vollero piegarsi alla durissime egemonia fascista. Una posizione allora davvero «marginale»? A proposito di Spallicci e del partito repubblicano: «così Spallicci – sostiene Lotti – non seguì quei repubblicani che ritennero necessario, di fronte alla minaccia rivoluzionaria e per salvare la democrazia pericolante, di attenuare l’atteggiamento antimonarchico, nè quelli che dando prevalenza ai valori patriottici e nazionali sfociarono direttamente nel fascismo».

Addirittura! Non sappiamo a quale partito repubblicano faccia riferimento il prof. Lotti, anche perchè con la segreteria Casalini (cosiddetta ‘transigente’) in campo nazionale, o in Romagna con la Federazione autonoma di Ubaldo Comandino, mai si sono avute soluzioni di tal fatta. Il P.R.I. comunque, che dal 1920 aveva per segretario Fernando Schiavetti, ha sempre mantenuto una ferrea linea anti Regime, pagando duramente con distruzione di circoli, esilio di uomini, soppressioni di giornali. Spallicci, comunque, dopo qualche tempo di solidarietà al conterraneo Mussolini, dalla tarda primavera del 1923 segue una posizione che si affianca a quella del partito repubblicano. Lotti, poi, segue con puntualità e precisione la linea antifascista di Spallicci, il confino di Mercogliano, la resistenza, la elezione a deputato e senatore per il P.R.I. nel dopoguerra. Infine la crisi repubblicana, la contrapposizione tra i fautori del centro sinistra e del vecchio centrismo, la opposizione netta e dichiarata del romagnolo all’entrata dei socialisti nei governi della Repubblica, la scissione in casa del P.R.I. (1964) con Spallicci solidale col movimento di «Nuova repubblica» creato da Randolfo Pacciardi per opporsi alla cosiddetta politica «filo socialista» di Oronzo Reale, Ugo La Malfa ecc.

Avevamo accennato al saggio di Lorenzo Bedeschi e Dino Mengozzi, il primo lavoro veramente aggiornato su Spallicci e l’Associazione combattenti in Romagna fino al 1926. I relatori si soffermano sugli aspetti intellettuali del poeta attraverso «La Piè» definita, ci sembra con qualche esagerazione, l‘ «unico organo i stampa della Sezione combattenti di Forlì», quando per lo meno «Il Pensiero Romagnolo» e «Il combattente romagnolo» non lesinavano lo spazio agli ex combattenti forlivesi. Davanti alla occupazione e allo scioglimento dei municipi di Romagna retti da repubblicani, era ferma l’opposizione di Spallicci che ne scriveva direttamente a Mussolini. Spallicci, a nome dell’A.N.C. forlivese, era stato comunque fautore di un patto di pacificazione fra fascisti e repubblicani, nel tentativo di salvare la pace in Romagna, poche settimane prima della marcia su Roma. Per la locale sezione dei reduci venivano tempi burrascosi, per le ostilità prima verbali e scritte, poi aperte e decise da parte degli squadristi, che il 3 giugno 1923 invadevano la sede di Corso Vittorio Emanuele. Il motivo: la mancata esposizione della bandiera nazionale in occasione della festa dello Statuto, una delle maggiori celebrazioni monarchiche del Regno d’Italia. La situazione si appesantiva sempre più a Forlì fra la maggioranza degli ex combattenti di parte repubblicana e la minoranza degli ex combattenti di estrazione fascista, tanto che nell’adunanza del 4 settembre 1924, come sottolineano gli AA. «il Consiglio direttivo rifiutava di votare un ordine del giorno, avanzato da un suo membro fascista, di inviare un telegramma di omaggio al re». «Il Popolo di Romagna», il settimanale dei fascisti forlivesi, accusava allora la rappresentanza dei reduci di essere «nè più nè meno che una sezione del Partito repubblicano italiano». Si staccavano i fascisti, che il 31 ottobre del medesimo anno fondavano il «Gruppo autonomo combattenti» composto da una cinquantina di aderenti, ma senza troppa fortuna. In occasione infine dell’adunata del 28 marzo 1926, in cui si doveva commemorare la fondazione dei Fasci di combattimento, «nessuno dei dirigenti si presentò». Allora il Prefetto di Forlì, telegrafando al ministero dell’Interno, proponeva «nuovamente lo scioglimento della Federazione provinciale combattenti di Forlì e Cesena». La risposta veniva fulminea e lo scioglimento era cosa fatta il 31 marzo successivo «con vivissimo entusiasmo da tutto il fascismo forlivese». Aldo Spallicci presidente della federazione provinciale combattenti, benché oramai estromesso dalla carica, riconfermava all’on. Luigi Russo (venuto prontamente da Roma quale membro del triumvirato dell’A.N.C.), l’ostilità propria e dell’Associazione provinciale al partito fascista. Forlì era dunque completamente fascistizzata o quasi, anche perchè i partiti contrari al Regime, completamente emarginati dalla vita politica e sociale, vivevano oramai nella semiclandestinità.

Una bella e significativa ricerca, ripetiamo, che Bedeschi e Mengozzi hanno condotto attraverso fonti inedite e notizie di prima mano. Non ci ha però convinto un’espressione non felice e di poco fondamento, ripresa da «L’uomo nuovo» del romanziere forlivese Antonio Beltramelli, che affermava essere le Case repubblicane (i circoli) «in verità [solo] case da gioco». Certo, c’erano sezioni dove si giocava (anche) a bocce o alle carte o al biliardo; ma da quelle sezioni, non dimentichiamolo, erano partiti i volontari e i combattenti della recente guerra vittoriosa; quelle sezioni erano frequentate da iscritti che si battevano a testa alta contro i socialisti ed i fascisti. Se fossero state solo «case da gioco» e niente altro, gli squadristi locali non vi si sarebbero accaniti incendiandole e devastandole od occupandole anche definitivamente. Costoro sapevano bene che, soffocando o annientando quelle sedi, non avrebbero eliminato un complesso edilizio che stava in piedi solo per il passatempo o gli incontri spensierati degli amici, ma avrebbero colpito la struttura, l’attività politica e di propaganda, il cervello direttivo insomma, nel senso più vasto, della Consociazione repubblicana forlivese, sicuramente la più grande ed agguerrita dell’intera organizzazione repubblicana d’Italia.

Aggiornamento di marzo 2020

Originale di una poesia scritta nel 1928 da Spallicci esiliato a Milano. Firmata Spaldo è dedicata agli amici forlivesi Tonino Spazzoli, Balilla e Mario Santarelli, Aurelio Lolli, Giulio Vio e altri due non individuati come ringraziamento per l’invio di piadina e prodotti tipici romagnoli. Fu pubblicata sulla rivista “La piè” nel 1975 a firma Spallicci. Ha contribuito alle ricerche Gabriele Zelli, la traduzione è a cura di Radames Garoia e Marino Monti,  l’originale è in possesso di Antonio Spazzoli.

Trascrizione e sotto traduzione:

A Ro parchè e’ saluta tot j amigh (a Ro perché saluti tutti gli amici)
6 maggio 1928
Spaldo
A Ro, a Mario e Balilla, a Tunino, a Giulio de pitor, a Genarino, a Lolli.
U m è rivé la piê
e i vostar frott ‘d campagna
coma a i temp da suldê
quant che l’êria ‘d Rumagna
e l’udor dagli aröl
a gli era int un tvajol.
U j è sempr’al burnis
da scaldêr una teggia
u j è agli ànum e i zis
da inganêr una veggia
quant ch’u s’ciacara e u s’magna
a l’usanza ‘d Rumagna.
U j è i spërz e al radis
dla mi tëra d’alora
ad cla tëra chi dis
tot al zent ch’la lavora
che pio’ tant la s’arvölta
la j è quela d’na völta.
A sent al vostar man
amigh, e e’ vost calor
neca iquà da luntan,
ch’a sò iquè ch’a j udor
la roba de burlet
e a magn e prem quadrett.

Mi è arrivata la piada
e i vostri frutti di campagna,
come ai tempi dei soldati,
quando l’aria della Romagna
e l’odore dei focolari
erano in un tovagliolo.
Ci sono sempre delle braci
da scaldare una teglia,
ci sono i semi di zucca e il cece
da ingannare una veglia,
quando si parla e si mangia
all’usanza della Romagna.
Ci sono gli asparagi e le radici [ravanelli bianchi di forma allungata ndr]
della mia terra di allora,
di quella terra che dicono
tutte le genti che la lavorano
che più si rivolta,
più ritorna ad essere quella di una volta.
Sento le vostre mani,
amici, e il vostro calore
anche qua da lontano,
che sono qui che odoro
la roba del broletto [prato con piante ndr]
e mangio il primo quadretto.

Aggiornamento di maggio 2020

Lettera, fronte e retro, di Aldo Spallicci. Indirizzata a Zanotti (Aurelio?) è in originale e riporta due diverse versioni dell’epigrafe per Pippo Spazzoli. La famiglia seceglierà la prima.

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