(di Elio Santarelli)
Si guardi il caso: la prima lettera pubblicata dal Pensiero Romagnolo dei combattenti della guerra 1915-18 è proprio di Antenore Colonelli; il settimanale repubblicano iniziava appunto con la testimonianza di fede di Antenore un lungo periodo di rapporti e di collegamenti spirituali fra il fronte della trincea e il fronte interno forlivese. Fra il 1915 e il 1918 centinaia e centinaia di lettere, cartoline, messaggi erano ospitati dal giornale e oggi formano un documento di notevole importanza per conoscere il morale, l’entusiasmo, le situazioni ambientali, i sacrifici di quell’impavido e numeroso nucleo di combattenti o di volontari che credevano nei valori delta guerra dì liberazione delle terre italiane soggette all’Austria- Ungheria, guerra che s’identificava anche nell’eliminazione del militarismo austro-tedesco e nella liberazione di lutti gli altri popoli sottomessi ai due Imperi nemici: quello di Francesco Giuseppe d’Austria e di Guglielmo II di Germania.
Si diceva dunque della lettera di Colonnelli che i1 «Pensiero Romagnolo» pubblicava 12 giugno 1915 con il titolo «L’amico Colonelli Antenore scrive dal fronte alla sua famiglia: io attendo con ansia, sottolineava, quel giorno che anche noi prenderemo parte alla gloria dei nostri compagni che hanno avuto l’onore, alto onore, di aprire per primi il fuoco contro il nostro più vile nemico.
A quanto pare è giunto il momento della rivincita nostra. Saluta gli amici e dì a loro ch’io la penso come 4 o 5 mesi fa, pur essendo vicino a tanti pericoli, che per me non sono tali, poiché so di avere un grande dovere da compiere anche a costo di dare la mia vita. «Chi per la patria muore vissuto è assai». Dì alla mamma che stia tranquilla e comprenda quanto sia santo il sacrificio per la patria e specie per la redenzione di quei nostri fratelli finora torturati dall’infame governo dell’imperatore degli impiccati (Francesco Giuseppe). Abbia essa pazienza fino al mio ritorno, anzi dille che il suo Antenore ritornerà solo dopo la completa vittoria dello armi, nostre, contro quelle tedesche.»
Egli, di famiglia mazziniana, ricordiamo il babbo Giovanni attivista dei partito e detta Camera del Lavoro, quando scoppiò la guerra europea fu subito nella salda falange interventista seguendo le direttive del PRI e aderì al Fascio di Azione Interventista di Forlì; impaziente di partecipare ad azioni belliche, ai primi d’ottobre 1914 partì clandestinamente con altri repubblicani della città per accorrere a Nizza ove si stava costituendo la Compagnia «Mazzini», organizzata dallo stesso partito. Si sarebbe poi dovuta svolgere una azione di quei volontari mediante l’aiuto dei franco-inglesi contro le coste adriatiche appartenenti all’Impero austriaco. Lo scopo: creare all’Italia un casus belli e costringerla a intervenire nel conflitto. L’azione non ebbe nemmeno inizio per grosse difficoltà avute col Governo francese per cui il 12 ottobre il Partito repubblicano deliberava lo scioglimento della Compagnia, ratificato due giorni dopo dagli stessi volontari incontratisi a Nizza col segretario del PRI, Oliviero Zuccarini. Cosicché il gruppo di cui faceva parte Colonelli faceva ritorno in patria il 17 ottobre. La permanenza nella città francese fu dunque di brevissima durata. Di questa permanenza oltr’Alpe, Colonelli dettava una bella e documentata pagina che poi veniva pubblicata postuma sul nostro giornale il 6 giugno 1981.
Colonelli si batté per l’intervento e, fedele ai suoi principi, compì al fronte il suo dovere dì soldato. Abbiamo visto la lettera al padre, poi il «Pensiero» del 2 ottobre 1915 pubblicava un breve saluto cui egli univa quello di altri commilitoni. Scriveva Renato Ascari Raccagni sul «Melozzo» del febbraio 1981: «Col 127° Fanteria partecipava ai fatti d’arme di quel sanguinoso conflitto, veniva ferito gravemente.., e veniva promosso sergente maggiore per meriti di guerra». La fede non gli era certamente mai mancata e in quest’altra lettera inviata sempre al babbo, ospitata dal «Pensiero Romagnolo» del 16 giugno 1918, affermava: «In questi giorni ho già rinunciato alla mia inabilità, per essere al più presto inviato alla prima linea e spero che non mi faranno attendere più oltre. È arrivato finalmente il giorno, che, libero da qualunque altro impegno, posso dedicarmi nuovamente a quel che preme molto di più: la Patria! Se avrò la disgrazia o la fortuna, che dir si voglia, di soccombere, ti raccomando di volermi perdonare di tutto il male che ti ho fatto. Altrettanto vorrei dire alla buona mamma se la sapessi più sana e più forte. Lascio a te la cura di prepararla ad un colpo eventuale. «In alto, in alto i cuori» lo ripeto anch’io, ma con ben altro senso del tuo. Coraggio e speriamo. Scrivimi nuovamente e più a lungo, lo bramo, lo desidero ardentemente, un tuo giudizio sia pure cattivo. Baci, baci tanti a te, alla mamma e a Ateo.» L’affettuoso saluto ad Ateo, il fratellino decenne, ricorda il bambino che poi divenuto adulto si guadagnò anch’esso notorietà e stima e la cui morte avvenuta nel novembre scorso addolorò e commosse molti cittadini forlivesi. Ateo, dunque, al quale, chiamato in tribunale dopo la Conciliazione fra Stato e Chiesa del febbraio 1929, si contestò la validità del suo nome; discussioni, qualche contrasto, infine la scelta da parte dell’interpellato: Bruno. Scelta non gradita perché il nome suonava di anticlericalismo peggio di Ateo; ma quando egli (lo raccontava con evidente compiacimento e sarcasmo) azzardò sottolineare che pure il figlio terzogenito di «Sua Eccellenza Mussolini» portava quel nome, allora ogni opposizione tacque da parte delli superiori. Bruno rimase e cosi fu sempre conosciuto sia fra gli amici, sia nell’impiego comunale, sia nella sua carica tenuta per molti anni di Presidente del Circolo Filatelico e Numismatico Forlivese, sorto in città nel 1946.
Finita la guerra 1915-18, lo sottolinea ancora Ascari Raccagni, «il triste ritorno dei reduci talvolta vilipesi ed insultati, genera in Colonelli — come in molti — ondate di sdegno e di scoramento, fino a quando trova (il punto d’incontro) nell’organizzazione delle associazioni combattentistiche e dei volontari di guerra, ma soprattutto nell’associazione mutilati ed invalidi di guerra di cui sarà per lunghi anni segretario ed animatore…» L’«Associazione Forlivese fra Mutilati e riformati di guerra», poi «Associazione Forlivese tra i Mutilati, Invalidi e Riformati di Guerra», sorse a Forlì il 2 giugno 1917; apolitica, si proponeva di curare l’assistenza dei propri soci, dei quali il primo fondatore e Presidente della Sezione di Forlì fu Mentore Ronchi. Il nastro rosso della prima Bandiera sezionale con ricamate da un lato te parole «Patria e Libertà» stava chiaramente ad indicare l’orientamento mazziniano e repubblicano della maggioranza degli aderenti (tra i quali Colonelli) o per lo meno della maggioranza del gruppo dirigente locale. Arrigo Comandini, dirigente della Associazione Nazionale Mutilati e Invalidi di guerra di Forlì, ci suggerisce che Colonelli fu anche il curatore, il bibliotecario della bella raccolta di libri, opuscoli, riviste ecc, che arricchisce la magnifica Sede di via Maroncelli. Antenore era anche stato eletto nel dicembre 1922 Consigliere della Associazione Combattenti di Forlì e, dal 18 gennaio al 21 giugno 1923, Redattore responsabile de «Il Combattente Romagnolo», ‘Organo detta Federazione Romagnola dei Combattenti’. Assieme a Mario Santarelli che comandava l’esiguo manipolo composto inoltre da Tonino Spazzoli, Aurelio Lolli, Mario Miserocchi, Aurelio Papi, Bruno Giacometti, Aurelio Babini, Colonelli partecipava al primo comizio pubblico elettorale di Mussolini nel novembre 1919 in piazza Belgioioso a Milano a sostegno delle idee interventiste e repubblicane, antimilitariste e anticlericali del futuro Duce, isolato nella capitate lombarda dallo strapotere socialista. La sua attività nella piazza sia di repubblicano come di ex combattente non aveva soste, abbinata con quella del suo lavoro: «Funzionario integerrimo del nostro Comune – sottolineava sempre Ascari Raccagni – svolse sempre il suo compito con zelo ed anche in periodi duri e tristi venne incaricato di mansioni delicate, come quelle dei sussidi ai militari, delle tessere annonarie ed altri, che egli curò col consueto scrupolo.» Nel tragico periodo della guerra civile 1943-’44, come ci disse il fratello Bruno, Antenore collaborava con Tonino Spazzoli e gli compilò carte d’identità false (a grave rischio e pericolo) per alti ufficiali inglesi ex prigionieri di guerra che stavano lasciando clandestinamente la Romagna, per essere avviati da guide valorose oltre le linea del fronte.
«Passata la guerra, che tante lacerazioni aveva creato – continuiamo dal citato articolo di Ascari Raccagni – Colonelli si batteva per creare organismi che sapessero unire, anziché dividere.» Fu merito in gran parte suo la nascita detta «Fiera di Forlì» sorta come «Primavera Romagnola» nei primissimi anni Cinquanta «rendendosi garante in proprio di eventuali perdite.» Il «Comitato Pro Forlì-Storico Artistica» dal 1948-49, la rivista «Il Melozzo» dal 14 marzo 1968, ebbero anch’assi la sua impronta determinante. Del «Comitato» egli fu per circa un trentennio, fino al 1977, l’attivo Segretario, del «Melozzo » appassionato collaboratore sia con gli pseudonimi Il Viandante o Lioncello oppure col suo nome vero e proprio. In questi articoli Colonelli si batteva per la realizzazione di quei progetti che avrebbero fatto bella e funzionale la sua città e si compiaceva di quanto era stato realizzato mediante i buoni uffici del «Comitato Pro Forlì». Un intervento di particolare rilievo, «Forlì senza Teatro» (Febbraio 1974) è un vivo appello alla ricostruzione del Teatro comunale di Forlì abbattuto dai tedeschi in fuga nella notte tra l’8 e il 9 novembre 1944; inoltre non mancano note sulla vita e la cultura teatrale della Città. Antenore, affermava Ascari Raccagni «ben a ragione poteva considerarsi ‘amico’ del Teatro, non solo per la passione e la competenza, ma perché era vissuto nel teatro comunale col padre Giovanni — custode — col fratello Bruno a con la cognata che lo coadiuvavano. Molto si deve ad Antenore e ai Colonelli per i tanti cimeli salvati e che poi sono stati da loro ceduti al Museo dal Teatro» ora in Palazzo Gaddi. Attorno agli anni Cinquanta, Antenore, ci suggerisce la notizia Vittorio Mezzomonaco, fu Segretario della «Polifonica Forlivese» diretta da Cesare Martuzzi e fu quindi molto vicino al Maestro, mentre altri lo avevano lasciato o dimenticato. Nella sua intransigente linea mazziniana non gradì molto la politica di La Malfa di avvicinamento al PSI e seguì Randolfo Pacciardi nella scissione dal Partito Repubblicano del 1964 per aderire poi al movimento di Nuova Repubblica. Moriva il 2 gennaio 1981 a 86 anni e Mezzomonaco sulla «Cronaca di Forlì» del «Resto del Carlino» del 6 gennaio lo ricordava così: ‘Silenziosamente, quasi non volesse recare disturbo a nessuno, Antenore Colonelli è morto sabato scorso… Forse i più giovani neppure sanno chi sia stato l’anziano signore che noi oggi vogliamo ricordare, ma crediamo si possa tranquillamente dire che Forlì è così, come è oggi, anche per merito suo». La Città non ha una via a Lui dedicata: è tempo ora di porvi rimedio!